lunedì 8 luglio 2013

SALES



ECONOMIA

Loro Piana diventa francese

Lvmh compra l'80 per cento dell'azienda
Dopo Cova un altro marchio italiano va all'estero

Pier Luigi Loro Piana (Imagoeconomica)Pier Luigi Loro Piana (Imagoeconomica)
Hanno smentito fino a pochi minuti fa, «i soliti rumors», diceva Pierluigi Loro Piana a chi gli domandava qualcosa. Poi però si sono dovuti arrendere: Loro Piana, uno dei più prestigiosi marchi italiani nella lavorazione del cashmere e delle lane pregiate, è diventato di proprietà francese. Lvmh, il colosso del lusso che fa capo a Bernard Arnault, ha acquistato l'80 per cento del capitale per 2 miliardi di euro. Il via libera poco fa. «Condividiamo in effetti gli stessi valori, sia familiari che aziendali, la ricerca permanente della qualità e sono convinto che il nostro gruppo possa apportare un forte contributo al futuro della Loro Piana che possiede grandi potenzialità», ha dichiarato Bernard Arnault. Soddisfatti anche in casa Loro Piana: «Il gruppo diretto da Bernard Arnault è, in effetti, quello maggiormente in grado di rispettare i valori della nostra azienda, la sua tradizione ed il desiderio di proporre ai suoi clienti dei prodotti di qualità ineccepibile - commentano Sergio e Pier Luigi Loro Piana - il nostro marchio ne trarrà beneficio da sinergie eccezionali, sempre preservandone le tradizioni».

A TORINO ABBIAMO LA METROPOLITANA CHE TUTTI CI INVIDIANO...
UN PROBABILE PASSANTE FERROVIARIO AVVENIRISTICO.....
UN IPOTETICA TAV.....
AHI,AHI,AHI COME LA VEDO MALE.....



Negli ultimi anni l'assalto non arriva più dalle solemultinazionalioccidentali che strappano assegni a svariati zeri, a richiedere i marchi del made in Italy sono anche Paesi emergenti, come il Brasile, la Cina e l'India, Russia, e soprattutto la penisola araba.
"Air France Klm non ha intenzione di prendere il controllo di Alitalia: lo abbiamo già detto a più riprese, viste le nostre priorità e i nostri mezzi, che sono limitati", ha assicurato nelle ultime ore il direttore finanziario del vettore franco-olandese Philippe Calavia a margine della presentazione dei conti del gruppo. Da settimane i media vociferano di una possibile svendita della compagnia di bandiera. Non è certo l'unico gioiello al centro degli interessi dei colossi internazionali. Il colpo inflitto dalla magistratura a Finmeccanica ha fatto saltare sull'attenti il presidente francese Francois Hollande che è volato subito dal premier indiano Manmohan Singh per firmare accordi commerciali da svariati miliardi. A chi giova un'Italia debole? Chi beneficia di una Saipem il cui margine operativo lordo nel 2012 si aggira intorno ai 1,5 miliardi di euro (circa il 6% in meno rispetto a quanto precedentemente annunciato)? Perché i nostriimprenditori non riescono a investire più in questi marchi? A far aprire gli occhi agli analisti era stato il "colpaccio" del marchio Luis Vuitton Moet Hennessy (Lvmh) che, comprando Bulgari nel 2011, aveva rivoluzionato il mondo del lusso. In realtà, è ormai un ventennio che, tra grandi affari e colossali svendita, l'Italia perde un pezzetto dopo l'altro. Si è iniziato con l'Iri e le svendite di Romano Prodi e da lì non ci si è più fermati.
Per ogni azienda italiana che si espande all’estero, ve ne sono tante altre che mettono le mani sui marchi made in Italy. Se Barilla compra la francese Harry’s o la svedese Wasa o se Luxottica di Leonardo Del Vecchio compra l’americana Ray Ban, un numero sempre maggiore dietichette italiane finiscono fuori dal Belpaese. "In alcuni casi è giusto vendere, poiché il prezzo offerto è fuori da qualsiasi logica economico-finanziaria - spiega l'analista Ulisse Severino - in altri casi si assiste al pagamento di quelli chiamerei veri e propri prezzi di liquidazione". Qualche esempio? È presto fatto. Bernard Arnault, proprietario della Lvmh, non è solo il padrone incontrastato di Bulgari. Lvmh possiede, infatti, anche Emilio Pucci, Acqua di Parma e Fendi. Gucci invece è sotto il controllo di Ppr, antagonista storico di Lvmh. François Henri Pinault, poi, controlla Bottega Veneta, Sergio Rossi e come prossimo obiettivo addirittura Edison, colosso energetico italiano. E ancora: Gianfranco Ferrè è stata ceduta a Paris Group di Dubai, holding che fa capo al magnate Abdulkader Sankari e che controlla 250 boutique tra Emirati arabi, Kuwait e Arabia Saudita. Stesso destino per la Safilo, che oggi confeziona occhiali per Emporio Armani, Valentino, Yves Saint Lauren, Hugo Boss, Dior e Marc Jacobs: è finita nelle mani del gruppo olandese Hal Holding.
Se il settore del lusso è preso d'assalto, il mercato deglialimentari viene continuamente saccheggiato. Anche qui, solo per fare alcuni esempio, abbiamo Carrefour e Auchan a farla da padroni nel campo del retail. La francese Lactalis ha messo le mani su Parmalat, Galbani, Invernizzi, Cademartori e Locatelli. Nelle mani del fondo diprivate equity Pai Partners è finita la catena Coin nata nel lontano 1916 quando il veneziano Vittorio Coin ottiene la licenza di ambulante per la vendita di tessuti e mercerie a Paniga. Stesso destino per la Standa, fondata nel 1931 da Franco Monzino con un capitale di 50mila lire. Agli spagnoli invece la Star, la società italiana leader nei dadi da brodo, controllata dal marchio iberico Agrolimen. Tra i maggiori compratori in Italia c'è la Société des Produits Nestlé, sicuramente la più grande azienda mondiale nel settore degli alimentari. A decine i marchi che la società ha comprato in Italia: si va dalla Buitoni alla Motta, dai Baci Perugina all'Antica Gelateria del Corso. "È davvero difficile trovare oggi chi investe in un Paese come l'Italia  - ha concluso Severino - frenato non solo da una crisi sempre più evidente, ma anche dall'assenza di una visione che vada oltre la logica delle prossime elezioni" 



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